La rielaborazione del lutto nelle relazioni interpersonali

Pubblicato il: 15 Settembre 2018
Il lutto è il sentimento di intenso dolore che si prova per la perdita, in genere, di una persona cara.

Il costrutto teorico di lutto presenta rilievi di notevole rilevanza sia in ambito psicologico sia antropologico.

Nelle culture occidentali viene di solito associato al colore nero.

Elaborazione del lutto

L'”elaborazione del lutto” consiste nel lavoro di rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali legati alla perdita dell'”oggetto relazionale”, ovvero della persona (parente o amico) con la quale si era sviluppato un legame affettivo significativo, interrotto dal decesso della stessa.

Il processo di elaborazione del lutto, in base all’intensità del legame affettivo interrotto, alle sue modalità, e a diversi fattori protettivi o di rischio, può essere di durata e complessità variabile. Solitamente, nella sua fase acuta, viene completato entro 6-12 o anche 24 mesi in caso di perdite di figure relazionali primarie (genitori, figli, partner), anche se non sono infrequenti possibili sequele per periodi successivi; si deve comunque tenere conto che il processo di elaborazione è fortemente soggettivo, e può durare per tempi assai variabili in base a fattori personali e situazionali.

La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross viene considerata la fondatrice dell’approccio psicotanatologico all’elaborazione del lutto con il suo modello a 5 fasi.

Lutto complicato e lutto traumatico

Si definisce “lutto complicato” il lutto la cui elaborazione viene interrotta, profondamente rallentata o cristallizzata, per l’impossibilità sostanziale di accettare il significato emotivo della perdita relazionale; in tal caso, quello che è il disagio o il dolore emotivo (anche acuto) che accompagna normalmente ogni lutto, può ampliarsi fino ad assumere forme psicopatologiche.

Si tratta comunque di un’evenienza piuttosto rara: non si deve infatti scambiare lo stato di pur acuta sofferenza emotiva, anche di diverse settimane o mesi di durata, che accompagna fisiologicamente ogni lutto grave, con un lutto complicato di valenza più problematica.

Il “lutto traumatico” è il lutto che si instaura a partire da un evento critico, come un decesso imprevisto e improvviso (come ad esempio un incidente stradale o un suicidio); anche se presenta profili di maggiore complessità rispetto al lutto “normale”, non necessariamente un lutto traumatico esita in un lutto complicato; spesso è comunque alla base di un trauma psicologico.

In situazioni di lutto complicato o lutto traumatico, può in certi casi essere utile un sostegno psicotanatologico e/o psicotraumatologico.

In psicologia, si identifica talvolta con la parola lutto (o microlutto) anche quella serie di forti sentimenti e stati mentali derivati da accadimenti improvvisi, che creano sofferenza e che generano un forte impatto psicologico e/o modifica nella vita della persona che li subisce, come allontanamenti di persone care, o la modifica obbligata di stili di vita significativi.

Lutto è anche l’insieme delle tradizioni, per la maggior parte religiose o comunque di particolare valenza culturale, che i parenti di un defunto osservano per un certo periodo di tempo. In passato si prevedevano tre tipi di lutto: lutto gravemezzo lutto e lutto leggero. Durante il periodo di lutto grave non era possibile intervenire a balli e ricevimenti, né recarsi a teatro. I periodi di lutto previsti erano[1]:

  • per il coniuge 18 mesi: un anno di lutto grave, quattro mesi di mezzo lutto e due mesi di lutto leggero;
  • per i genitori, suoceri, nuore e generi un anno: sei mesi di lutto grave e sei mesi di mezzo lutto;
  • per i figli da uno a due anni a seconda del tipo di morte e dello stato di salute mentale della persona che ha subito il lutto;
  • per fratelli e sorelle 7 mesi: 4 di lutto grave, 2 di lutto leggero e 1 di mezzo lutto;
  • per i cognati 6 mesi: 3 di lutto grave e 3 di mezzo lutto;
  • per i nonni 6 mesi: 3 di lutto grave e 3 di lutto leggero;
  • per i cugini carnali e i nipoti 3 mesi: metà di lutto grave e metà di mezzo lutto.

La servitù doveva indossare il lutto per i padroni di casa e in tal caso la livrea era tutta di nero e al cappello veniva aggiunto il velo nero. Fino ad Anna di Bretagna le regine di Francia portavano il lutto in bianco (da cui la denominazione di regine bianche), ma Anna portò il lutto in nero per Carlo VIII e anche Luigi XII, divenuto vedovo della stessa Anna, indossò il lutto nero.

Nella tradizione ebraica la prima fase di lutto intenso (Aninut) dura fino alla fine della sepoltura. Viene subito seguita da avelut (“rimpianto”), che comprende tre periodi distinti:

Shiva – Sette giorni

Shloshim – Trenta giorni

Shneim asar chodesh – Dodici mesi

 Italia

In particolari casi può essere ordinato il lutto da autorità civili quali il sindaco (lutto cittadino) o il Ministro degli Esteri (lutto nazionale), al fine di proclamare il cordoglio (dal latino cor-dolium = lett. dolore proprio del parto al cuore) della comunità per un lutto di particolare rilevanza. Le ordinanze di lutto sono solitamente accompagnate da alcuni provvedimenti che vanno dall’esposizione a mezz’asta delle bandiere della Repubblica Italiana e dell’Unione europea posizionate negli edifici pubblici alla sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche e delle attività lavorative non essenziali (ivi inclusa la chiusura delle scuole).

LE 5 FASI NELL’ ELABORAZIONE DEL LUTTO

Il suo modello a cinque fasi, elaborato nel 1970, rappresenta uno strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma gli psicoterapeuti hanno constatato che esso è valido anche ogni volta che ci sia da elaborare un lutto solo affettivo e/o ideologico.

Da sottolineare che si tratta di un modello a fasi, e non a stadi, per cui le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le emozioni non seguono regole particolari, ma anzi come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte.

  1. Fase della negazione o del rifiuto: “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere” sono le parole più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell’esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ansia di morte e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, a meno che non s’irrigidisca raggiungendo livelli ancor più psicopatologici.
  2. Fase della rabbia: dopo la negazione incominciano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. Una tipica domanda è “Perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
  3. Fase della contrattazione o del patteggiamento: in questa fase la persona incomincia a verificare cosa è in grado di fare e in quali progetti può investire la speranza, cominciando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazione del paziente, sia con le figure religiose. “Se prendo le medicine, crede che potrò…”, “Se guarisco, poi farò…”. In questa fase, la persona riprende il controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.
  4. Fase della depressione: rappresenta un momento nel quale il paziente incomincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia progredisce e il livello di sofferenza aumenta. Questa fase viene distinta in due tipi di depressione: una reattiva e una preparatoria. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia la persona non può più negare la sua condizione di salute, e incomincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione.
  5. Fase dell’accettazione: quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva a un’accettazione della propria condizione e a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità moderata. In questa fase il paziente tende a essere silenzioso e a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, sia in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

 

Da notare come la sua esperienza l’abbia condotta a convincersi, come la morte non sia la fine di tutto, come ella stessa argomenta, tra l’altro, nel suo testo La morte è di vitale importanza – Riflessioni sul passaggio dalla vita alla vita dopo la morte.

Vi starete chiedendo da cosa dipende la mia scelta, perché, in questa sede, propongo un argomento di sì tale portata.

Lo faccio per diversi motivi:

i movimenti separatori rappresentano una costante nella vita di ognuno di noi. Come tecnici, educatori o genitori, è fondamentale acquisire le strutture necessarie per affrontare il proprio rapporto con i distacchi, al fine di poter essere un fattivo supporto per i bambini sia dal punto di vista didattico che emozionale.

Compito dell’educatore è fornire gli strumenti adeguati per agevolare la rielaborazione del proprio mondo interno e condiviso. Ma, all’ atto pratico, come possiamo intervenire? Che ruolo ha la musica in situazioni che richiedono dinamicità per creare nuovi contesti di visione dell’ esterno e dell’ interno?

Come anticipato nelle precedenti sessioni, la musica costituisce un canale eccellente, dalle molteplici risorse socio-educative. I laboratori musicali, se preparati con la dovuta attenzione (setting, scelte musicali, materiale didattico e creativo) costituiscono un elemento fondamentale per la crescita psicodinamica dei piccoli che possono in questo modo esperire le diverse fasi del lutto (inteso anche come dispiacere infantile) e diventare quindi i proprietari di un nuovo concetto di sé in cui possono riconoscersi come individui capaci di canalizzare i cambiamenti ed adeguarsi alle difficoltà che la vita, pian piano, pone loro davanti.

La musica che di solito utilizzo per questo tipo di interventi è il blues, perché questa tipicità musicale contiene in sé semplici e strutturate opportunità comunicative. Il blues si basa sull’ utilizzo di 4 note fondamentali (quarta, quinta, tonica e diatonica) che dal punto di vista corporeo rappresentano le quattro direzioni (dentro/fuori, sopra/sotto). Il blues non va valutato dal punto di vista classico per ciò che concerne le note, ma va bensì inteso come un movimento dell’anima capace di raccogliere il dolore e trasformalo in colore. Attraverso il blues possiamo toccare con mano la profondità emotiva tipica di ogni individuo, riuscendo a mettere in relazione il binomio difficoltà-soluzione, che deve diventare non solo uno schema comunicativo ma reattivo e costante nello sviluppo dei bambini. Impostare un ambiente musicale non è così scontato, è necessario valutare attentamente il setting, il layout e le facilitazioni dal punto di vista emotivo e strutturale. La qualità musicale proposta mira a riorganizzare le energie individuali e di gruppo al fine di ottenere nuovi canali di comprensione per me e per gli altri. E’ importante agevolare i piccoli nella creazione di nuovi suoni che possano aderire al contesto e arricchirlo di nuove modalità espressive. Per esempio, buona condizione di laboratorio è fornire ai bambini strumenti naturali con cui possano riprodurre, imitando, le note proposte e possano quindi dare il via ad uno stile personale di racconto che rafforza il concetto di sé come io narrante, io pensante, io capace.

Incontrare e affrontare le separazioni è una risorsa per accogliere “il nuovo” che necessariamente si mescola con il nostro vissuto creando nuove alchimie, strade che ci accompagnano lungo il nostro divenire grandi.

Discografia:   Rebecca Ferguson, Luis Armstrong, Michael Bublè, Gospel, Folk Rock (Bob Dylan) e tutto ciò che rientra nello stile sopracitato, purchè consenta benessere per chi conduce il laboratorio.

 

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